L’ascolto dei segnali di disagio
Quando si inizia ad avvertire un primo sintomo di disagio, soprattutto quando si è giovani, si pensa di avere tutto il tempo davanti per affrontarlo o più spesso si fa anche finta di niente. Si ha l’idea di potersela cavare da soli, che non sia poi così importante, ma intanto il tempo passa e non ci si occupa del proprio benessere. Si tampona con piccole e brevi soddisfazioni che apparentemente fanno star bene, ma non sempre alimentano la propria realizzazione.
Con il passare del tempo, invece, si inizia a pensare che ormai è tardi, non si può fare più niente e non si può cambiare quello che c’è. Qual è il momento giusto per occuparsi di sé?
Quando intervenire
Dovrebbe bastare semplicemente il momento in cui se ne sente il bisogno, quando qualcosa stona nella propria vita. Non bisogna pensare di rivoluzionarla, non servono anni per recuperare il tempo in cui si è continuato a rimandare. Non serve neanche colpevolizzarsi, probabilmente non si era ancora pronti.
L’unica cosa che serve per iniziare è solo una motivazione per farlo, il giusto modo viene dopo, la strada si trova insieme. Non bisogna tornare indietro x riniziare, ma proseguire, cercare il percorso adatto a quel momento e a quella esigenza.
È più semplice farlo che pensarlo.
Diversamente da quanto accadeva per le incertezze d’un tempo, l’inattendibilità dei segnali disposti lungo la strada della vita e la vaghezza dei punti di riferimento esistenziali non possano più essere viste come un inconveniente temporaneo cui si potrà porre rimedio con l’acquisizione di nuove informazioni e la creazione di nuovi e più efficaci strumenti. Diviene sempre più evidente che le incertezze del nostro tempo sono − per usare la felice espressione di Antony Giddens − “costruite su misura”, per cui vivere nell’incertezza ci appare un modo di vivere, il solo modo di vivere l’unica vita che abbiamo.
Zygmunt Bauman, La società dell’incertezza, 1999