Una vita da vivere

di | 3 Dicembre 2019
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Una vita da vivere

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“Beatrice è una giovane donna bloccata nella sua crescita personale ed affettiva  da un evento traumatico che non è ancora riuscita ad elaborare. Motivazioni,  difficoltà e speranze  la portano a voler cercare un cambiamento attraverso una psicoterapia in cui, rinarrando la sua storia e le sue emozioni, inizia un percorso di crescita e consapevolezza. Passo dopo passo ritroverà la fiducia necessaria per tornare a vivere nuovi sentimenti e a far posto all’amore per sé stessa, ma non solo …”

CAPITOLO 1

Immobile

Non era la prima volta che le succedeva, aveva già perso altre battaglie. Sapeva contro cosa aveva lottato negli ultimi anni, non sapeva per quanto ancora avrebbe dovuto mantenere alta la difesa. La stanchezza l’aveva lasciata sola, in balia dei suoi pensieri, dei suoi ricordi, come un naufrago aggrappato all’ultima speranza; si guardava intorno per tentare di scorgere qualcosa di diverso all’orizzonte, un punto verso cui orientarsi. Quando si sentiva smarrita si guardava indietro, come se ripercorrere i passi fatti le desse la certezza di un cammino; ormai era ferma da anni. Pochi passi in avanti, molti arresti, troppi ripensamenti. Ricordare da dove era partita, quando ancora ogni problema sembrava risolvibile, le dava conforto anche se poi non riusciva ad ammettere di essersi lasciata sopraffare da un lento intorpidimento emotivo che continuava a impossessarsi dei suoi giorni. Una forma di anestesia emozionale che la bloccava da molto tempo. Continuava a non riconoscere niente di sé in questo nuovo aspetto, era come se fosse bloccata in un corpo estraneo,  nulla la raggiungeva più. I suoi ricordi erano ancora intatti, ma avrebbe rinunciato anche a loro pur di cancellare tutto. Un blackout totale, in pochi attimi corpo e anima si erano separati, sogni e paure confusi, vita e morte scontrati. Il buio aveva vinto, per non vedere, per non accettare. Lì dove pensava ci fossero sorrisi aveva trovato lacrime, dove credeva ci fossero sospiri aveva imparato le urla soffocate, al posto del piacere aveva scoperto il disgusto e sempre più forte la paura di non sopravvivere a tutto quel dolore.

Il buio poteva offuscare, il silenzio poteva coprire, più forte di ogni grido che non era riuscita a tirare fuori. Aveva nascosto a tutti quella verità, sperava di poterci riuscire con se stessa, ma quell’urlo le era rimasto dentro anche se aveva continuato a ignorarlo. Una lotta costante tra passato e presente, da una parte per dimenticare, dall’altra per andare avanti. Arrivava a sentirsi arbitro, sfidante e sfidato nel giro di pochi momenti. Quando riusciva a liberarsi da questi scontri finiva col ritrovarsi a fare la spettatrice pur non sapendo più per chi fare il tifo.

Sperava che il tempo in qualche modo alleviasse la sua sofferenza, aveva aspettato a lungo pazientemente, immobile. Dietro c’era il dolore, avanti il terrore di riviverlo; fare niente le permetteva di lasciar passare i giorni smorzando l’ansia e la paura, fuse ormai in un’insostenibile, unica sensazione che quando arrivava la lasciava esanime, incapace di continuare. Si sentiva così quel giorno, non era la prima volta, ma non riusciva ad abituarsi a quegli sbalzi, finché manteneva l’ultimo residuo di resilienza, non voleva permetterlo. La sua determinazione nel tenersi ancorata alla vita, per risalire fino al punto in cui era stata scaraventata in basso, le aveva fatto sopportare l’attesa, ma in quel momento non bastava più. Aveva permesso che pezzi della sua vita si smarrissero, come elementi di un puzzle lasciati al vento contro cui impiegava tutte le sue forze per tentare di mettere ordine, per ricomporre se stessa. Voleva riprendere a chiamare vita tutto quello che faceva, dare un senso a ogni parte di sé, a ciò che era diventata dopo tutte le sue lotte.

Era certa che quello non fosse un giorno come tutti gli altri, non capiva ancora se qualcosa dentro di lei si fosse definitivamente lacerato o se invece fosse scattato un meccanismo inaspettato che le avrebbe fatto prendere nuove decisioni, nuove strade. La curiosità la portò a cercare una risposta in uno scatolone, l’unico che aveva lasciato intatto dopo l’ultimo recente trasloco. Ne aveva già fatti più di quanti riuscisse a tollerare, ma ogni volta era come rigenerarsi. Il più importante l’aveva strappata tanti anni prima dalla sua amata città, per realizzare un sogno, i successivi per scappare da incubi urbani di edilizia abbandonata a studenti universitari sognatori. Non era più una matricola sprovveduta che improvvisava le sue giornate, pronta a fare una valigia e a ripartire da zero. La sua esperienza e la sua crescita l’aveva misurata in tutti gli scatoloni che aveva accumulato in quell’ultimo spostamento. Sorprendentemente, troppi rispetto a ciò di cui sentiva di avere bisogno e di voler riscoprire e riadattare. Su quello che aveva lasciato intatto aveva scritto con un pennarello rosso: MEMORIES. Conteneva tracce di sé di cui non riusciva a liberarsi, ma che neppure voleva riportare nella sua nuova vita. Trovò un paio di peluche, regalati da amici o ex fidanzati, neanche ricordava più, i poster che tappezzavano la sua vecchia stanza per renderla più allegra, un paio di regali per la sua laurea, talmente brutti da non trovare spazio in nessun posto, ma così sudati da non poter essere buttati. Pescò qualche lettera ricevuta negli anni quando ancora la corrispondenza era cartacea e trovarla nella cassetta delle lettere produceva una certa emozione, biglietti vari di cinema, teatro, concerti che continuava a conservare come scalpi di serate da portare sempre con sé. In fondo alla scatola, nascosto da una serie di colorati biglietti di auguri aveva conservato un quaderno, la copertina era talmente familiare da procurarle una fitta allo stomaco solo nel vederla. Avrebbe voluto annullare parte dei ricordi, ma ne conservava un’impronta indelebile, oltre che nella mente, anche in quei fogli. Aveva annotato alcuni appunti, gli impegni di quel periodo e ogni tanto quando si perdeva tra i pensieri o non aveva voglia di studiare scriveva dei versi, abbozzi di poesie, canzoni che raramente faceva ascoltare ad altri. Il risultato era un’intima conversazione con se stessa, un incessante fluire di emozioni che le ricordava tempi e situazioni precise. Aprirlo fu come ritornare indietro nel tempo, non molto era cambiato, nonostante i suoi sforzi ritornava sempre al punto di partenza.

2 pensieri su “Una vita da vivere

  1. Ivan Pipicelli

    Letto d’un fiato, qualcosa che tocca il cuore come null’altro. Con un immenso rispetto per il dolore e la forza nella rinascita di chi può aver vissuto simili storie, degli angeli fra noi con maschere per non farsi riconoscere.

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