I dolori del cuore
Prima o poi capita a tutti di subire o provocare un dolore. Quando vogliamo rappresentare e collocare fisicamente un’emozione utilizziamo spesso termini che partono dal cuore:
“ho avuto un colpo al cuore, mi si è arrestato il cuore, il cuore mi batte forte”, è in questo organo che focalizziamo i nostri affetti, ma cosa succede in realtà?
Tutte le prove a cui siamo sottoposti cosa comportano? Il cuore resta sempre lo stesso?
Apparentemente non cambia, ma può accadere che ad ogni esperienza, soprattutto se dolorosa, associamo una serie di comportamenti da evitare, sviluppiamo anticorpi che restano come sentinelle a respingere ogni situazione catalogata come “pericolosa”.
Gli effetti della chiusura
Purtroppo quando ci si lascia influenzare da esperienze negative non ci si permette più di lasciar entrare ogni tipo di sentimento, per tenere lontano il dolore, si rischia di non aprirsi neanche al piacere. La paura di rivivere situazioni analoghe a quelle precedenti, in cui si è sofferto, pone in uno stato di allerta, per cui si tende a voler avere il controllo sull’emotività. Ovviamente questo è impossibile, l’unico effetto che si riesce ad ottenere è quello di non verificare cosa si ha realmente davanti. Si rinuncia in partenza a scoprire cosa in quella situazione si può vivere senza condizionamenti.
Osservando i comportamenti tra chi vive le sue prime relazioni e chi invece ha già vissuto altre situazioni, è facile notare profonde differenze. È vero che l’esperienza aiuta in alcuni casi a capire le situazioni e a evitare ciò che si ritiene inadatto, ma spesso intervengono comportamenti attivati da meccanismi di difesa anche quando di fronte non vi è un reale pericolo. Peggio ancora il pericolo è rappresentato, paradossalmente, anche da ciò che si desidera.
Succede allora che con il passare degli anni i sentimenti sembrano presenti fino a esaurimento scorte, una volta vissuti non si possono più riprovare. Non ne vale più la pena. Può essere saggio essere cauti quando si ha a che fare con nuove conoscenze, ma investire in nuove relazioni non comporta uno svuotamento delle proprie risorse, anzi potrebbe semmai essere il contrario. Dare qualcosa di sé non significa perderla, questo rischio sussiste quando non si ha una percezione chiara e distinta di sé, quando si ripongono aspettative nell’altro riguardo il proprio benessere e il proprio futuro o quando si cercano gratificazioni esterne.
Tornare a scoprir-si
Solo dopo aver affrontato e risolto tutto questo, si può vivere ogni tipo di relazione basandosi sullo scambio e sulla condivisione. Altrimenti l’altro viene visto o in termini utilitaristici o come un potenziale saccheggiatore, ma in entrambi i casi non può valicare una soglia di sicurezza. Rapporti di questo tipo finiscono inevitabilmente con l’essere insoddisfacenti, confermando di conseguenza le paure iniziali.
L’attribuzione fisica non è solo visualizzata nel cuore, ma il principale responsabile appare sempre l’altro: “mi hai spezzato il cuore” e di conseguenza la soluzione più veloce che si trova resta: “non darò mai più il mio cuore ad altri”.
Come dicevo prima, se non si parte da se stessi e dalla propria affermazione, difficilmente ci si pone nella possibilità di intraprendere relazioni soddisfacenti, che siano affettive, amicali o parentali. Il limite non sta solo nel perdere l’occasione di scoprire risorse in chi si ha vicino o nel rapporto che si può creare, ma ancor più spesso si trova anche nell’accontentarsi di relazioni insoddisfacenti che assolvono ad un bisogno specifico, solitamente limitato nel tempo, ma che poco hanno a che vedere con una completezza e realizzazione reciproca.
Permettere a dolori del passato di continuare a intervenire nel presente blocca la propria espressione, limita le proprie scelte, ma per riprendere in mano la propria vita non bisogna avere paura di affrontarli. Il dolore va vissuto, non può essere messo da parte e ignorato, altrimenti rischia di invadere ogni spazio e senza rendersene conto diventa il riflesso di ciò che si vive, per cui tutto diventa negativo e potenzialmente pericoloso.
L’esperienza può essere utile per evitare di cadere negli stessi errori, non per evitare di vivere e scoprire cosa altro può esserci.