…”Non era la prima volta che le succedeva, aveva già perso altre battaglie. Sapeva contro cosa aveva lottato negli ultimi anni, non sapeva per quanto ancora avrebbe dovuto mantenere alta la difesa. La stanchezza l’aveva lasciata sola, in balia dei suoi pensieri, dei suoi ricordi, come un naufrago aggrappato all’ultima speranza; si guardava intorno per tentare di scorgere qualcosa di diverso all’orizzonte, un punto verso cui orientarsi.
“Quando si sentiva smarrita si guardava indietro, come se ripercorrere i passi fatti le desse la certezza di un cammino; ormai era ferma da anni.
Pochi passi in avanti, molti arresti, troppi ripensamenti. Ricordare da dove era partita, quando ancora ogni problema sembrava risolvibile, le dava conforto anche se poi non riusciva ad ammettere di essersi lasciata sopraffare da un lento intorpidimento emotivo che continuava a impossessarsi dei suoi giorni. Una forma di anestesia emozionale che la bloccava da molto tempo. Continuava a non riconoscere niente di sé in questo nuovo aspetto, era come se fosse bloccata in un corpo estraneo, nulla la raggiungeva più. I suoi ricordi erano ancora intatti, ma avrebbe rinunciato anche a loro pur di cancellare tutto”..
…”Si rese conto che gli anni erano trascorsi inesorabilmente, alcuni le erano passati davanti intatti, senza produrre nessun apparente cambiamento. Parte del dolore era sempre stato lì e non si era affievolito. Come poteva non essere invecchiato, sbiadito insieme a tutto ciò che il tempo trascina e muta con sé? Ignorare il ricordo non lo aveva reso meno importante, anzi a volte aveva dovuto prestare maggiore impegno per farlo tacere. Lentamente senza rendersene conto a ogni respiro aveva inalato qualcosa di tossico, ogni pensiero, posandosi, aveva creato una patina che la rendeva immune alle emozioni. I suoi anticorpi e le sue difese erano così forti da farle rigettare qualsiasi tipo di cura. Una trasformazione lenta, non percepibile, ma profonda. Si era allontanata da tutto ciò che poteva turbarla, ma non era certo diventata insensibile. Il suo corpo era diventato come una cassa di risonanza e tutto ciò che la attraversava si ripercuoteva in ogni sua parte e spesso la lasciava sfibrata. Per difendersi aveva imparato a camuffare gli effetti delle scosse di assestamento, anche se questo la faceva apparire distante da ciò che le era intorno, quasi disinteressata. Riusciva a ottenere il contrario di ciò che desiderava, chi le era intorno la vedeva forte, chi la conosceva appena pensava fosse austera e snob, mentre lei bramava vicinanza e affetto, come un randagio che lentamente si avvicina ai margini dell’indifferenza. Erano gli altri a essere distratti o era lei ad allontanarli, da qualche parte bisognava partire, prendersela con gli eventi non l’aiutava a sciogliere gli strati sedimentati sulla sua pelle, tra lei e il mondo”…[i]
Perché a volte ci si lascia andare, si finisce con l’accettare situazioni che non vanno bene e si rinuncia a lottare per ciò che si desidera realmente? Non si può relegare tutto a un miraggio, qualcosa che non si può raggiungere mai. Bisognerebbe distinguere tra ciò che è frutto della fantasia e resta in uno spazio irreale e ciò che invece appartiene alle proprie ambizioni, agli obiettivi che si possono realizzare. Eppure spesso si rinuncia a tutto, tra confusione e rassegnazione, come se si fosse condannati ad altro, come se non ci fossero altre soluzioni.
Cos’è che blocca? Cosa può essere più forte dei propri desideri, della propria realizzazione? La risposta è sempre in se stessi, siamo noi i primi a mettere degli ostacoli, a creare delle trappole, a vivere paure, che siano reali o meno. Spesso per paura di non farcela, per non affrontare sfide difficili o per paura di un cambiamento, è più semplice lasciare tutto com’è, anche se non è quello che avremmo scelto per noi. Per quanto insoddisfacente sia una situazione, è comunque meno temuta rispetto al futuro e alla responsabilità che questo può comportare. Ci si convince così che non sia possibile superare certi limiti, a volte esperienze negative o risposte penalizzanti, avute probabilmente da persone che si hanno vicino e di cui ci si fidava, riescono a trovare un posto predominante nella mente, fino a creare una barriera, una struttura talmente salda che si teme di affrontare. Lentamente si inizia con il vedersi diversamente, ci si scosta dai propri pensieri e dalle proprie emozioni per avvicinarsi all’immagine rimandata da altri, perdendo la propria unicità, la capacità di affrontare situazioni nuove. Ci si ferma quindi in uno spazio limitato, si smette di guardare lontano.
Quanto tempo possa durare questa situazione e quanto lavoro si debba fare per superarla dipende da quanto spazio si torna a dare a se stessi e alle proprie emozioni, per tornare a entrarne in contatto. Occorre abbattere le proprie barriere, superare le trappole che hanno minato la propria strada e riprendere a riconoscere i propri obiettivi.